Coronavirus e telelavoro, Italia fanalino di coda in Europa
Il lavoro agile in Italia è solo al 2% su 8 milioni 359 mila lavoratori potenzialmente occupabili
Questa modalità di lavoro, portata al centro dell’attenzione dall’emergenza Coronavirus con il Dpcm del 25 febbraio 2020, è largamente diffusa in Europa, ma ancora molto poco in Italia. Se ad un terzo dei lavoratori fosse concessa la possibilità di lavorare saltuariamente o stabilmente in modalità “agile”, si raggiungerebbero i 2 milioni 758 mila.
Secondo i dati Eurostat nel 2018 l’11,6% dei lavoratori europei alle dipendenze di imprese o organizzazioni pubbliche praticava smart working, lavorando da casa saltuariamente (8,7%) o stabilmente (2,9%), grazie alle opportunità messe a disposizione delle nuove tecnologie. In Italia la percentuale si ferma al 2% (solo 354 mila lavoratori dipendenti), risultando non solo la più bassa d’Europa (poco sopra Cipro e Montenegro), ma anche la più distante da Paesi come Regno Unito (20,2%), Francia (16,6%) o Germania (8,6%). Per non parlare di quelli del Nord Europa, dove la quota di lavoratori che possono lavorare da casa anche con flessibilità oraria sale al 31% in Svezia e Olanda, 27% circa in Islanda e Lussemburgo, 25% in Danimarca e Finlandia.
Nel nostro Paese, nonostante la legge sul lavoro agile (L. 81/2017) abbia introdotto elementi di flessibilità organizzativa nel mercato del lavoro italiano che, sfruttando le opportunità offerte dalle nuove tecnologiche, consentono di coniugare gli obiettivi di efficienza e produttività aziendale con il benessere del lavoratore, il numero dei dipendenti coinvolti è ancora estremamente basso. Per quale motivo?
Nella maggior parte di casi la motivazione è dettata da una diffidenza verso soluzioni organizzative innovative, che facciano della cultura del risultato il baricentro del modello gestionale.
<<Il lavoro agile rappresenta un vero e proprio modello organizzativo per le aziende e necessita di un approccio e di strumenti gestionali diversi da quelli ordinari o emergenziali>>, evidenzia il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca.
<<Se da un lato sono evidenti i benefici per il dipendente che lavora da casa in termini di conciliazione vita privata e lavoro, riduzione dei tempi e dei rischi legati allo spostamento casa/lavoro – continua –, dall’altro lato, l’adozione di questo modello implica da parte delle aziende uno sforzo organizzativo rilevante in termini di investimento tecnologico; revisione dei processi di lavoro, formazione e valutazione dei dipendenti e soprattutto il superamento delle naturali diffidenze che possono sussistere da parte del management e degli stessi lavoratori>>.
Organizzare il lavoro “smart”, quindi, è una vera e propria rivoluzione culturale per le imprese, che comporta un modello di lavoro basato sul risultato ma anche grandi opportunità di crescita.
<<Ben vengano – conclude De Luca -, dunque, in questo frangente provvedimenti d’urgenza volti a favorire il lavoro agile, ma è assolutamente necessario implementare questa modalità lavorativa con interventi più strutturali e mirati, volti ad incentivarne l’utilizzo e a risolvere anche alcune ambiguità normative, come quelle legate al tema della sicurezza, che ancora ne ostacolano la diffusione>>.
Sfruttare questa opportunità ci renderebbe un Paese più moderno, e pronto a ogni emergenza come questa che stiamo affrontando non senza preoccupazioni anche sotto l’aspetto economico.
G. D.