Tumori alla mammella, risultati studi decennali di Oncologia Galliera
Studio coordinato dal prof. Andrea De Censi, direttore Oncologia medica del Galliera
Tumori al seno
– I dati a dieci anni confermano che il tamoxifene a dosaggio ridotto mantiene gli effetti protettivi, riducendo il rischio di recidiva e tutelando la qualità di vita. Lo studio è stato sostenuto da Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, Ministero della Salute, Lilt e Ospedali Galliera di Genova.
La ricerca è stata pubblicata ieri sul Journal of Clinical Oncology, organo ufficiale dell’American Society of Clinical Oncology e tra le più autorevoli riviste oncologiche mondiali.
Lo studio italiano conferma che una dose di 5 mg di tamoxifene al giorno per soli tre anni riduce il rischio di recidive e di nuovi tumori al seno, con minimi effetti collaterali, mantenendo gli effetti anche sette anni dopo la fine del trattamento.
Lo studio randomizzato Tam-01 è stato effettuato in 14 centri oncologici italiani, nelle aree di Genova, Milano, Napoli, Modena, Torino, Tortona, Forlì, Meldola, Carpi, Varese, Vicenza, Bari, Ravenna, Pavia, Catanzaro, con il coordinamento del prof. Andrea De Censi (nella foto), direttore del Dipartimento di Medicina e dell’Unità Complessa di Oncologia Medica dell’Ente Ospedaliero Ospedali Galliera di Genova.
Durante la ricerca sono state coinvolte 500 donne con tumori al seno non invasivo (carcinoma duttale in situ o Dcis) o con lesioni precancerose (carcinoma lobulare in situ, iperplasia duttale atipica) sottoposte a intervento chirurgico ed eventuale radioterapia in caso di Dcis. Le pazienti sono state assegnate dal computer con metodo casuale a uno dei due gruppi di trattamento, nei quali hanno rispettivamente ricevuto 5 mg al giorno di tamoxifene o placebo per tre anni. Quindi sono state seguite per un periodo di follow-up di circa dieci anni.
I primi cinque anni avevano già dimostrato una riduzione del 52% delle recidive di cancro alla mammella invasivo o Dcis (Hazard Ratio, 0,48; IC 95%, 0,26-0,92) rispetto al placebo e una riduzione ancora maggiore, del 76%, del rischio di tumore all’altra mammella. Inoltre le donne che hanno ricevuto il tamoxifene hanno riferito di avere avuto solo una vampata di calore aggiuntiva al giorno rispetto al gruppo che ha ricevuto il placebo.
<<Dopo che questi primi dati sono stati annunciati nel 2018, numerose linee guida statunitensi, tra cui quelle di società scientifiche come Asco, Nccn e Uspstf, raccomandano il tamoxifene a basse dosi dopo una diagnosi di Dcis o nelle donne con lesioni precancerose”, – spiega De Censi -. Il trattamento a basse dosi di tamoxifene è anche detto babytam negli Stati Uniti>>.
<<In questo studio più recente abbiamo aggiornato i risultati sulle recidive di tumore alla mammella dopo dieci anni per valutare eventuali effetti collaterali a lungo termine e vedere se l’efficacia del trattamento venisse mantenuta nel tempo, anche a distanza di sette anni dal termine della cura – commenta il dott. Matteo Lazzeroni, medico ricercatore della Divisione di Prevenzione e Genetica Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (Ieo) e primo autore dell’articolo -.
I dati a dieci anni mostrano che il tamoxifene a basse dosi continua a mantenere i propri effetti protettivi, riducendo del 42% il rischio di nuovi tumori mammari e con le curve di sopravvivenza, del gruppo trattato rispetto a quello con placebo, che rimangono notevolmente separate a dieci anni.
Per quanto riguarda gli eventi avversi valutati, tra cui tumore all’utero, altri tumori, malattia coronarica, frattura ossea, cataratta e trombosi venosa profonda o embolia polmonare, non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi dello studio.
I risultati con tamoxifene a basso dosaggio forniscono un altro chiaro esempio di come la dose precedentemente utilizzata di uno dei farmaci più utilizzati in oncologia clinica, fosse eccessiva, perlomeno per la prevenzione di recidive nelle forme non infiltranti di tumore>>.
<<La piena conferma dell’efficacia e sicurezza del tamoxifene a basse dosi ci permette di considerarlo ormai a tutti gli effetti “practice changing”, o in grado di cambiare la pratica clinica – aggiunge il dott. Bernardo Bonanni, direttore della Divisione di Prevenzione e Genetica dello Ieo -. I risultati ottenuti aprono la strada a nuovi studi clinici di prevenzione, alcuni pronti a partire a breve, nei soggetti sani ad alto rischio tumorale, incluse le donne portatrici di mutazione genetiche ereditarie>>.
G. D.